domenica 21 ottobre 2012

Decameron, X, 10: Novella di Griselda



Decameron, X, 10: re Panfilo e Dioneo narratore

La novella di Griselda è la decima novella della decima giornata, “nella quale, sotto il reggimento di Panfilo, si ragiona di chi liberamente ovvero magnificamente alcuna cosa operasse intorno a’ fatti d’amore o d’altra cosa”-

Tocca a Dioneo raccontare la storia del marchese di Saluzzo, Gualtieri, il quale, su invito di amici e vassalli, si decide a prendere moglie. La sposa da lui scelta è però Griselda, la figlia di un contadino, che ha attirato il nobile per la sua bellezza, nonostante le sue umili origini.
Dopo il matrimonio però il marchese comincia a mostrare la sua “matta bestialità”: egli infatti, pur amando Griselda, che si mostra perfettamente all’altezza del suo ruolo, non perde occasione per mettere alla prova il suo carattere e la sua solidità morale.

Dopo qualche tempo, fra le acclamazioni di giubilo generali, Griselda partorisce una bambina: dapprima Gualtieri si mostra molto felice, ma poi, per provare ulteriormente la pazienza e la capacità di sopportazione della moglie, le riferisce che i sudditi sono scontenti di lei poiché, nonostante le nobili nozze, resta comunque la figlia di un contadino. Griselda dà atto di estrema sottomissione al marito,  ammettendo di non essere degna “dell’onore al quale tu per tua cortesia mi recasti”.
Dopo qualche tempo Gualtieri ordina che un famiglio vada a prendere la figlia dalla madre, riferendole la decisione del marito di ucciderla: la donna, seppur addolorata, accetta senza discutere che la figlia le venga sottratta. In verità la figlia non viene uccisa, ma viene inviata dal padre a Bologna presso una sua parente, perché la faccia crescere bene,  educata e obbediente.
Nel frattempo Griselda ha un secondo bambino, ma Gualtieri, pur essendo molto felice, volendo nonostante tutto continuare a saggiare la forza della pazienza della sua donna, replica il proprio crudele comportamento. Ancora una volta Griselda accetta che il figlio le venga sottratto per essere ucciso. Tuttavia, come già accaduto in precedenza, il padre invia a Bologna anche il figlio, assieme alla sorella.
Dopo parecchi anni di sofferenze e di umiliazioni, Gualtieri decide che è il tempo di sottoporre la moglie a un’ultima prova: le fa credere che intende ripudiarla per sposare una giovane, che in realtà è la figlia dei due, rientrata a corte ormai giovinetta.
Gualtieri chiede a Griselda di preparare le stanze dove dovrebbe alloggiare la sua futura moglie, e la donna, anche se con un gran peso sul cuore, accetta anche questo compito gravoso.
Alla fine della novella Gualtieri svela a Griselda che la donna è loro figlia, che il suo fratellino è loro figlio e che non  ha alcuna intenzione di cacciarla. Per Griselda  finalmente cessano i tormenti, anche se Dioneo, maliziosamente allude al fatto che forse la donna ha sopportato fin troppo e che, forse, avrebbe fatto bene, a suo tempo, a cercarsi un altro amante.

Il fatto che la novella occupi la centesima posizione nel Decameron, dunque una posizione di evidente rilievo, ha  reso quasi naturale il confronto con la prima novella della prima giornata, dedicata a Ser Ciappelletto. Lo studioso V. Branca[1] sviluppa l’idea di un  antitesi fra le due figure e i valori che essi portano in scena nelle loro novelle. A suo parere la X giornata è “l’epilogo magnifico e fiabesco” del Decameron, in cui si celebrano i più alti valori umani e virtù come la Fortuna,  l’Amore e l’Ingegno, tutte nel personaggio di Griselda, che per questo assume tratti quasi sovrumani: ma ciò che colloca Griselda al di sopra di tutti gli altri personaggi del Decameron è la Virtù, grazie alla quale ella è assimilabile alla più alta di tutte le creature femminili, cioè Maria.
Ser Ciappelletto, invece, viene da Branca paragonato a Giuda, in quanto rappresentazione massima dei vizi: “il prototipo della malvagità, l’unico uomo secondo la tradizione sicuramente precipitato in inferno”. Nella novella a lui dedicata Boccaccio si serve di uno stile “comico”, ingiurioso, fosco e sarcastico, antitetico a quello invece utilizzato nell’ultima novella, “tragico”, elevato, eroico e encomiastico.

Tuttavia alcuni elementi mostrano una certa incoerenza nel testo: la completa e a volte sconcertante sottomissione di Griselda e l’implacabile spietatezza di Gualtieri sono infatti portate ai massimi livelli, tanto da rendere le loro caratteristiche principali decisamente poco credibili.  Anche Carlo Salinari[2] ritiene che i due personaggi siano assolutamente al di fuori di ogni limite umano per essere credibili. A suo parere in questa novella confluisce l’amore di Boccaccio per la tradizione letteraria precedente e i loro esponenti, che si rispecchia nello stile decoroso e solenne dell’intera giornata. Proprio a ciò si deve, a suo parere, il carattere eccessivamente astratto degli ambienti, la mancanza di scavo psicologico dei personaggi, l’idealizzazione delle vicende vissute, sempre più inverosimili: le sofferenze inferte dal marchese a Griselda non sarebbero altro che un gioco intellettuale. E anche se Boccaccio tenta di porre rimedio a questi sentimenti disumani con alcuni tratti di “stentata umanità” , essi ottengono, paradossalmente l’effetto di rendere i personaggi quasi più disumani e i loro gesti assolutamente privi di senso.


Il tentativo boccacciano di conciliare gli antichi valori cortesi con quelli della borghesia, tanto disprezzata da Dante nelle sue opere, si coglie nel testo dall’alternarsi dello stile, elevato per buona parte del testo e comico nel finale, e dal fatto che Griselda, già portatrice delle qualità che caratterizzano il suo ceto sociale (pazienza, tenacia e sopportazione delle fatiche), accresca le sue doti quando viene a contatto con il mondo nobiliare: diventa più bella e graziosa, disinvolta, cordiale e signorile.


Se guardiamo alla novella secondo la prospettiva della cultura cortese, la novella mostra una posizione di decisa opposizione rispetto ai modelli precedenti: nella novella non c’è rispetto per la figura della donna, che viene trattata nel peggiore dei modi dal marito, non è presente il tema del corteggiamento né quello del vassallaggio d’amore: Gualtieri, infatti, va contro alcuni dei comandamenti di Amore che Andrea Cappellano aveva individuato nel De Amore, come “Ricordati di evitare soprattutto le menzogne” e “Sii sempre cortese e civile”.



Rachele Parodi


[1] Boccaccio medievale e nuovi studi sul Decameron, Sansoni.
[2] Prefazione alla Decima giornata, in G. Boccaccio Decameron, Editori Riuniti.

Nessun commento:

Posta un commento

Nota. Solo i membri di questo blog possono postare un commento.